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In "Silenzio che diventò rifugio", Daniele Rebecchi ci conduce in una dimensione dove la materia pittorica si fa voce interiore, l’astrazione spazio emotivo e il gesto diventa meditazione.
L’opera si presenta come una superficie vibrante, attraversata da flussi cromatici e tensioni sotterranee, dove la luce emerge non come elemento decorativo ma come condizione esistenziale.
Il colore, dosato con maestria, si articola in velature calde e fredde — ocra, terra, fumo, porpora — che si incontrano e si respingono in un movimento profondo.
La tecnica, raffinata e al contempo istintiva, lascia intravedere un processo lento e meditato, ma anche aperto all’imprevisto. Si percepisce la presenza del gesto, ma anche la fiducia in ciò che accade oltre il controllo: colature, reazioni chimiche, trasparenze stratificate contribuiscono a generare una pelle pittorica viva, porosa, pulsante.
Il titolo diventa una chiave poetica fondamentale: "Silenzio che diventò rifugio" non allude a una fuga, ma a un approdo. Il silenzio evocato non è assenza, ma densità: è uno spazio mentale e sensibile in cui l’artista sembra trovare riparo, raccoglimento.
Rebecchi, con questa opera, dimostra una profonda maturità artistica: sa quando agire e quando lasciare che sia l’opera a comporsi da sé. In questo equilibrio tra controllo e abbandono, tra gesto e risonanza, prende forma un linguaggio che è al tempo stesso pittorico, emotivo e filosofico.
Silenzio che diventò rifugio - 40 x 30 cm
© Daniele Rebecchi
Silenzio che diventò rifugio - 40 x 30 cm
© Daniele Rebecchi
Silenzio che diventò rifugio - 40 x 30 cm
© Daniele Rebecchi
Silenzio che diventò rifugio - 40 x 30 cm
© Daniele Rebecchi
Silenzio che diventò rifugio - Dettagli
© Daniele Rebecchi
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© Daniele Rebecchi
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© Daniele Rebecchi
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© Daniele Rebecchi